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STORIA DI TIRANO

Le origini 

Tirano, a detta di qualche storico locale, sembra essere di origine romana. Questa ipotesi che vedrebbe la presenza in queste terre di un romano dal nome Tirus (o Tirius), pare essersi fatta più concreta in questi ultimi anni, anche se è molto difficile essere certi che le cose stiano davvero in questi termini. Anche per quanto riguarda il primo nucleo di Tirano dobbiamo limitarci a delle semplici ipotesi, che ci dicono che sarebbe sorto ai piedi del ripido pendio, in parte roccioso, che scende da Roncaiola e forse si sarebbe esteso fino alle sponde dell'Adda. La chiesetta di S. Adalberto, che pare sia stata la prima chiesa di Tirano, doveva trovarsi da quelle parti. In un momento storico che non si riesce a stabilire con precisione, la chiesa e le case che le stavano attorno vennero travolte da una grossa frana staccatasi dai fianchi rocciosi della montagna. Il monte Masuccio, ai cui piedi sorgeva questo antichissimo abitato, è sempre stato una grossa fonte di preoccupazione per gli abitanti di questi luoghi. 

I primi passi 

Per avvalorare la presenza in Valtellina di alcuni popoli, gli studiosi si sono spesso appoggiati alla toponomastica e proprio dall'esame di alcuni toponimi tiranesi, sembrerebbe confermata la presenza degli Etruschi e dei Galli; ma le notizie che in questo modo si possono raccogliere sono spesso confuse e ancora più spesso confutate da altri storici. Anche sulla presenza dei Romani a Tirano abbiamo solo poche e poco solide notizie. Forse in passato alcuni storici sono stati un po' troppo frettolosi nel dare per certe notizie o avvenimenti che, con un più attento e distaccato esame delle fonti, appaiono ora molto meno sicuri e qualche volta del tutto fantasiosi. Alla toponomastica ed al dialetto valtellinese si fa spesso ricorso per attestare la presenza dei Longobardi. Durante il successivo periodo carolingio si mostrano con tutta la loro evidenza in Valtellina le prime forme di organizzazione ecclesiastica. I Vescovi, con l'inizio del Sacro Romano Impero, vedono ampliarsi il loro potere spirituale, ma anche temporale, aiutati in questo da Carlo Magno e dai suoi successori. In questi anni una parte della Valtellina viene ceduta al monastero parigino di S. Dionigi (775), mentre di lì a poco entrano in scena il vescovo di Milano e quello di Como. Probabilmente in questo periodo sorge la prima chiesa di Tirano, che comunque fa capo ad un piccolo gruppo di case. Di ben altre dimensioni ed importanza è invece il paese di Villa (che si incontra sulla sinistra della strada statale 38 poco prima di arrivare al Santuario della Madonna di Tirano), che già possiede una chiesa battesimale, alla quale fanno capo tutte le comunità dei dintorni. Ancora di questo periodo, o di poco posteriore, è la bella chiesetta di S. Perpetua che, come quella bellissima di S. Romerio (o S. Remigio), aveva accanto un monastero ed uno xenodochio, un ospizio per i pellegrini. In un periodo nel quale le strade erano tutt'altro che sicure, infestate com'erano da banditi, malfattori e prepotenti di ogni risma, questi luoghi di sosta rappresentavano delle vere e proprie oasi di pace e di tranquillità. 

Tirano dopo il Mille 

Se da un punto di vista religioso Tirano ha meno importanza della vicina e rivale Villa, da un punto di vista strategico, con la costruzione da parte del vescovo di Como del castello del Dosso, sicuramente diventa di gran lunga più importante. Forse è proprio dalla costruzione di questo castello che inizia quel lento ma continuo processo di espansione, che porterà il minuscolo abitato di Tirano prima a superare Villa poi a strapparle, come vedremo più avanti, anche la piena autonomia religiosa. I primi documenti in cui si cita Tirano risalgono al 1073, quando due fratelli comaschi vendettero ad un certo Fedele De Campo tutti i loro possedimenti (in Tirano). In questi documenti viene citato anche il castello di Tirano, che certamente è quello chiamato "del Dosso", con riferimento alla sua posizione (nell'attuale sappiamo ad esempio che nel 1140, proprio nel castello del Dosso, il vescovo di Como Ardizzone autorizzò l'affitto da parte di un gruppo di abitanti di Tirano di alcune proprietà comunali allo xenodochio di S. Pomerio e giudicò in merito ad una lite tra l'arciprete di Villa e lo xenodochio di S. Perpetua. frazione Dosso si può intravedere traccia di questo castello). Ancora da questi documenti possiamo stabilire con certezza che un primo nucleo, seppur piccolo, del paese di Tirano era già presente in quegli anni sulla riva sinistra dell'Adda. Il castello che abbiamo citato fu spesso utilizzato dai vescovi di Como come dimora per le loro visite in Valtellina.  Come molti sanno e ricordano dai loro studi scolastici, questo, all'inizio del nuovo millennio, fu un periodo molto travagliato nella storia italiana in generale e, per riflesso quindi, anche nella storia della Valtellina. Asprissime contese videro infatti schierati su fronti opposti i due partiti dei Guelfi e dei Ghibellini. Anche i signorotti valtellinesi, seguendo i loro potenti protettori che abitavano a Como ed a Milano, si schierarono con i Guelfi o con i Ghibellini, sopportando le sconfitte oppure ottenendo privilegi ed onori quando una fazione prevaleva sull'altra. Pronti anche, in verità, a cambiare bandiera per passare dall'una all'altra parte politica non appena le cose si mettevano male. Tirano fu dominata in quel periodo dalla potente famiglia dei Capitanei di Stazzona mentre, poco più su nella valle, prendeva sempre più forza la ricca famiglia dei Venosta.

I Visconti e gli Sforza 

Quando Milano e poco più tardi Como (1335) furono conquistate dai Visconti, anche la Valtellina subì la stessa sorte, nonostante qualche timido e sporadico tentativo di resistenza da parte dei signorotti locali (come successe ad esempio con Teobaldo dei Capitanei a Sondrio, che però venne facilmente sconfitto). Dopo la morte dell'ultimo dei Visconti, il duca Filippo Maria, a Milano si proclama la repubblica Ambrosiana e la Valtellina manda dei messi in quell'occasione per proclamare la fedeltà della Valle alla nuova situazione politica. Quando però il duca Francesco Sforza conquista Milano, i Valtellinesi devono venire a patti con lui e dichiararsi suoi sudditi (il duca fu molto prodigo di concessioni alla Valtellina con la quale non voleva in quel momento avere dei problemi). Nel 1487 i Grigioni occupano Bormio e scendono lungo la Valtellina depredando e saccheggiando: vengono però fermati nei pressi di Caiolo dalle truppe di Lodovico Sforza (conosciuto come il Moro). Ed è proprio con Lodovico il Moro che Tirano riprende notorietà. Infatti il Duca fa preparare dai suoi architetti un grande progetto per la fortificazione di Tirano e queste opere vengono completate verso la fine del 1498. E' interessante notare che in quegli anni alla corte di Lodovico il Moro lavorava, anche come architetto, Leonardo da Vinci. Forse il grande Leonardo non fece nulla per i progetti di fortificazione di Tirano, però è bello pensare che la sua mano, i suoi occhi o la sua mente si siano in qualche modo interessati alla faccenda. Le spese per queste fortificazioni e per il restauro del vicino castello di Piattamala (all'imbocco della vai Poschiavina) furono di 600.000 lire, che naturalmente il duca pensò bene di far pagare all'intera Valtellina, istituendo una apposita tassa. Quelle 600.000 lire non erano certo poca cosa e quindi i comuni valtellinesi cercarono in tutti i modi di opporsi. Ma non ci fu nulla da fare e dovettero piegarsi a pagare. A puro titolo di curiosità, ricordiamo che nella costruzione di queste opere di difesa furono utilizzati 10000 carri di calce. Queste mura rappresentano uno dei fatti storici più importanti per Tirano, perché è proprio dentro di esse che si svilupperà per secoli il tessuto abitativo della città.

"Con queste fortificazioni Tirano assunse la configurazione topografica che ancora si può facilmente ravvisare e che qui ci sembra opportuno ed interessante descrivere nelle sue linee essenziali. La difesa fortificata partiva dal castello di S. Maria (di cui si ammira ancora la severa torre) circondato da una doppia murata, poi le grosse mura scendevano a oriente verso l'attuale via Trivigno e passando un po' sopra la chiesa parrocchiale, risalivano verso la Porta Bormina: da questa porta scendevano verso l'Adda e ne seguivano il corso per alcune centinaia di metri, formando i bastioni della Porta Poschiavina; poco a valle dell'attuale ponte sulla nazionale, le fortificazioni piegavano ancora verso il castello, in linea dritta, interrotte solo dalla Porta Milanese. Dai resti ancora esistenti, sia del castello che della cerchia delle mura, è facile ricostruire non solo il tracciato, ma rilevare anche la solidità e la grandiosità del sistema difensivo. Rimangono, seppure in progressivo deperimento, le strutture delle tre porte della città. Dalla Porta Bormina entrava la strada che veniva dall'alta Valle, mentre dalla parte opposta, per la Porta Milanese, usciva la strada che portava in direzione di Milano. Poco fuori della città, lungo questa strada, v'era un luogo chiamato tutt'ora "la giustizia" dove venivano suppliziati i condannati a morte: nei pressi della Porta Milanese v'era un campo dove venivano seppelliti i giustiziati, chiamato ancora "il mortorio". Dopo circa un chilometro, la strada piegava a destra e passava sopra il vecchio ponte, ora in secco, nei pressi dell'attuale sede ferroviaria. La Porta Poschiavina si può ancora ammirare nella sua forma architettonica originale... Nella direzione di queste tre porte e del castello di S. Maria, si articolava la viabilità cittadina che, nel suo tracciato, è rimasta pressoché immutata. Se si eccettua un gruppetto di case attorno alla chiesa di S. Giacomo e alcuni casolari della Rasica, nei pressi di S. Rocco, la vecchia Tirano era tutta dentro le mura e la popolazione vi dimorava quasi asserragliata. A sera, le grandi porte venivano chiuse e la città rimaneva al sicuro dagli assalti di sorpresa e dalle frequenti scorrerie nemiche." (L. Varischetti, 1962). 

Il castello di S. Maria, del quale abbiamo parlato (ricordiamo che il vecchio castello del Dosso aveva perso di importanza perché lontano dalle nuove fortificazioni), accolse il 6 settembre del 1499 lo stesso Lodovico il Moro che, fuggendo da Milano dove era stato sconfitto dai Francesi, stava percorrendo la Valtellina per andare a chiedere aiuti militari all'Imperatore tedesco. I Francesi che seguivano questa fuga del Moro, penetrarono in Valtellina ma furono in qualche modo arrestati dalle fortificazioni appena costruite a Tirano. Dopo un brevissimo ritorno a Milano, il Moro fu definitivamente sconfitto, fu fatto prigioniero e trasportato in Francia.

I Francesi 

Con un atteggiamento che si ripete molto spesso nella storia della Valtellina, le popolazioni della nostra valle accolgono i Francesi con grande esultanza, salvo accorgersi subito dopo che non c'è proprio nulla da festeggiare, perché i Francesi non sono meglio di altri per quanto riguarda gabelle e soprusi. Che i rapporti tra i nuovi padroni e la popolazione locale fossero tesi già pochi mesi dopo il loro insediamento nella valle lo dimostra un grave fatto di sangue che accadde a Tirano. Qui venne infatti ucciso a pugnalate da un gruppo di tiranesi particolarmente inferociti il comandante del presidio francese (qualcosa di simile successe a Morbegno dove la popolazione, stanca di subire angherie, uccise a bastonate alcuni soldati). Sotto la breve dominazione francese, poco fuori le case di Tirano, avvenne l'Apparizione della Madonna a Mario Homodei (29 settembre 1504). Sia che a questo evento miracoloso si guardi con profonda fede o con scetticismo, fu indubbiamente un fatto di grande rilevanza, non solo religiosa, che ebbe profonde ripercussioni su tutta la storia di Tirano (e della Valtellina). 

I Grigioni 

Costretti a lasciare Milano, i Francesi abbandonarono anche la Valtellina, che nel 1512 passò sotto la dominazione dei Grigioni. Qualche storico valtellinese ha dato credito all'ipotesi che i Grigioni avrebbero stretto un patto federativo con i Valtellinesi, patto che poi avrebbero successivamente disatteso trasformandosi da federati in dominatori. Non esiste però alcun documento serio a sostegno di questa ipotesi, che quindi deve essere lasciata cadere. Gli anni dell'occupazione francese, brevi nel numero ma intensi nel malgoverno, facilitarono certamente la conquista della Valtellina da parte dei Grigioni. All'inizio del 1512, oltre 15000 soldati si radunarono a Coira e qualche mese dopo, il 22 giugno, marciarono sulla Valchiavenna e sulla Valtellina. Erano divisi in tre colonne che si diressero su Chiavenna, su Bormio e su Tirano. I primi ad arrendersi, o se si preferisce, ad inneggiare all'arrivo dei Grigioni, furono i Bormini che, anche volendolo, non avrebbero comunque potuto opporre resistenza ad un tale esercito ben armato e ben equipaggiato. A Tirano, il primo a cadere fu il castello di Piattamala, comandato da Bernardo Strass, seguito quasi subito dal castello di S. Maria, che era agli ordini di Stefano Bastier. Le truppe Grigioni conquistarono la Valtellina a tempo di record ed il 27 giugno 1512 i valtellinesi giurarono fedeltà ai nuovi padroni. I quali subito, per recuperare i danni subiti con la guerra imposero una pesante tassa di 21 000 fiorini del Reno e per stabilire la loro autorità, sostituirono tutti i podestà in carica, con altri da loro nominati. Fu nominato anche il primo capitano della valle, Corrado Pianta, che scelse di risiedere in Morbegno. Nel 1514, anche in seguito al sempre più massiccio accorrere di pellegrini al santuario della Madonna, venne istituita la grande fiera di S. Michele. E' un avvenimento di grandissima importanza che influenzerà l'economia della zona di Tirano (e della Valtellina) per molti secoli. Nei primi decenni dell'occupazione grigiona della Valtellina il fatto di maggiore interesse è senza dubbio la stesura degli Statuti di Valtellina avvenuta nel 1531 (una edizione con qualche modifica fu stampata a Poschiavo nella tipografia di Delfino Landolfo nel 1549), che diedero il primo segno tangibile di un modo nuovo di governare, non più o non solo basato sull'arbitrio e sulla interpretazione assolutamente personale delle leggi. Poco indagato in genere dagli storici locali questo primo Corpus di leggi che regolano la vita dei valtellinesi ci pare invece di grandissima importanza. Tra le tante conseguenze, come vedremo, ci sarà anche la nascita degli Statuti di molte comunità locali. Tra questi troveremo, all'inizio del '600, quelli del comune di Tirano. Nel 1580 il cardinale di Milano, Carlo Borromeo, durante una visita in valle Camonica, decise di entrare in Valtellina e attraverso il passo dell'Aprica scese a Tirano. Secondo gli accordi stipulati tra i Grigioni e la Chiesa Cattolica, questa visita non sarebbe potuta avvenire, perché il Cardinale era privo dei permessi necessari. Le autorità grigioni però, con grande pragmatismo, fecero buon viso a cattiva sorte ed anzi, il podestà stesso di Tirano, Ermanno Winkler, benché evangelico, si recò a ricevere il Cardinale. Questi passò la notte in preghiera nel Santuario della Madonna ed il giorno dopo predicò ad una grande folla, accorsa da ogni luogo. La sera stessa il Borromeo, ripassando dall'Aprica, ritornò in Valle Camonica e di lì poi proseguì il suo viaggio per Milano.

 La visita del Ninguarda 

Qualche anno dopo, il vescovo di Como Feliciano Ninguarda, nativo di Morbegno, dopo aver ottenuto tutti i necessari permessi dalle autorità grigioni, venne in Valtellina in visita pastorale. Durante la visita, il vescovo fece diligentemente prendere nota della situazione areligiosa di ogni comunità della valle e compilò, al termine di questa sua lunga fatica, un interessante lavoro, in latino, che noi conosciamo con il titolo "La Valtellina negli atti della visita pastorale di Feliciano Ninguarda". E' un'opera fondamentale per la conoscenza della Valtellina in quegli anni, una vera e propria miniera nella quale troviamo migliala di informazioni di ogni tipo. Ci è sembrato quindi indispensabile riportarne il pezzo che riguarda Tirano, nella bella edizione (ricca di note), che ne fece Sandro Monti nel 1892 (curata da Lino Varischetti e Nando Cecini). 

"A due miglia dall'arcipretura di Villa (ora Villa di Tirano), risalendo la Valtellina, sulla destra dell'Adda, v'è l'illustre borgo di Tirano: in altri tempi era fortificato da mura e da un munito castello che attualmente è stato smantellato dai signori Grigioni; tuttavia il borgo è ancora ornato di magnifici edifici e abitato da nobili e ricche famiglie: vi tiene residenza il pretore di tutto il terziere superiore e conta con le diverse frazioni e villaggi dipendenti circa 900 famiglie. Vi è la chiesa con curazia dedicata a S. Martino vescovo il cui rettore prima della presente visita fungeva da vicario dell'arciprete di Villa, benché ricusasse di ottemperare agli ordini dell'arciprete stesso e affermasse di non essere vicario, ma pretendesse di essere parroco di Tirano con piena autonomia. Per questo vi era permanente discordia non solo tra l'arciprete di Villa e il rettore di Tirano, ma anche fra le due popolazioni: pareva in fatti una cosa vergognosa al rettore e alla comunità di Tirano il dover sottostare all'arciprete di Villa, località che, rispetto a Tirano, appare un semplice villaggio. Per questo, al fine di comporre e sedare cedeste rivalità, per l'autorità del vescovo visitante e su accordo dell'arciprete e della comunità di Villa e del rettore e della popolazione di Tirano, è stato disposto e decretato che la chiesa di S. Martino nel borgo di Tirano diventasse parrocchia indipendente dall'arcipretura di Villa ... Nella parrocchia della suddetta chiesa di S. Martino di Tirano fu nominato parroco lo stesso prete che fungeva da vicario nella chiesa e cioè il prete Simone Cabasso nativo del luogo, dottore in sacra teologia e da cui dipendono i sottosegnati sacerdoti e chierici (segue l'elenco di 13 persone, con la loro qualifica ed il loro incarico). Dipendono da questo borgo le altre seguenti chiese: entro l'abitato dello stesso borgo, la chiesa di S. Maria che tuttavia è occupata dai Luterani. Fuori dalle mura nei pressi del castello vi è un'altra chiesa dedicata alla B. Vergine Maria assai ben tenuta. Vi è pure una piccola chiesa non ancora completata dedicata a S. Rocco, in cui si celebra la messa una sola volta all'anno e cioè nella festa del Santo stesso. A oltre mezzo miglio, nel villaggio di Cologna (dipendente da Tirano), vi è una chiesa dedicata alla SS.ma Trinità. Poco fuori dallo stesso borgo di Tirano, oltre il fiume Adda, vi è la chiesa di S. Giacomo apostolo dotata di beneficio. Non molto lontano dalla suddetta chiesa ve n'è un'altra, ai piedi della montagna, dedicata a Sant'Adalberto, essa pure beneficiata (forse la più antica chiesa di Tirano, della quale si sono perse le tracce). A due miglia oltre l'Adda, sulla montagna, vi è il villaggio di Baruffini dove esiste una chiesa dedicata a S. Pietro Martire e a S. Marta. A un miglio oltre Tirano, sulla strada di Villa.vicino al ponte sul fiume Poschiavino, sorge il celebre ed artistico tempio dedicato alla Gloriosissima Vergine Maria dove convengono, da ogni regione, numerosissime persone e dove avvennero molti miracoli e tuttora si manifestano grandi prodigi: dista dalla chiesa arcipretale di Villa un altro miglio. Nella zona del predetto tempio della B. Vergine, sul vicino dorso del monte, vi è la chiesa dedicata a S. Perpetua aggregata allo stesso tempio della Madonna. Sullo sperone del monte, sopra il lago di Poschiavo, sorge la chiesa di S. Romerio distante da Tirano cinque miglia. "

Il testo prosegue con la interessante descrizione della valle di Poschiavo e con l'elenco delle persone "infette da eresia". E" interessante notare che le circa 900 famiglie (circiter nongenta focaria) citate dal Ninguarda, danno una popolazione di oltre 5000 unità. I dati che troviamo nella relazione del Ninguarda vengono confermati da un documento della biblioteca Ambrosiana di Milano. E' una lettera degli abitanti di Tirano al papa Gregorio XIII (che ricordiamo fu papa tra il 1572 ed il 1585), nella quale si parla di circa 5000 persone (con un centinaio di eretici). Questa lettera venne indirizzata al papa per ottenere il permesso di aprire in Tirano un collegio con tre maestri (non ottenendo risposta al loro desiderio di istruzione, i tiranesi cercarono di contattare il professore Sigismondo Fogliani di Bormio, ma dovettero rinunciare per l'esosità delle richieste del sacerdote). Da questi dati appare che Tirano è quindi il comune più popoloso di tutta la Valtellina e supera di gran lunga Sondrio, Morbegno, Teglio e Grosio. Un ultima annotazione riguarda la questione degli "eretici": dall'elenco del Ninguarda (che diligentemente annota nome e cognome di tutti i non cattolici), i protestanti di Tirano (borgo) sembrano ammontare ad una quindicina di famiglie.

Gli Statuti di Tirano 

Come abbiamo detto in precedenza, gli Statuti generali della Valtellina, furono spesso lo stimolo per la nascita od il perfezionamento degli Statuti delle singole comunità. Nel 1606 apparvero i "Capitoli novi della magnifica università di Tirano": l'insieme delle leggi che dovevano servire a regolare la vita degli abitanti del comune di Tirano. A capo della comunità di Tirano (del Comune) era posto il Decano, che veniva eletto da un Consiglio formato da 36 cittadini, che si riuniva il 28 dicembre al suono delle campane della chiesa di S. Martino. I componenti del consiglio comunale venivano ogni anno cambiati per un terzo. Questo fatto, insieme alla disposizione che la metà dei consiglieri dovessero essere contadini, la dice lunga sulla democraticità di questo organo di amministrazione. A questo si aggiunga il fatto che il Decano durava in carica un solo anno e doveva essere alternativamente, un nobiluomo ed un contadino, e si ha la giusta misura della grande democraticità di un tale ordinamento. Per avere una maggior efficienza "gestionale" i 36 consiglieri eleggevano 12 di loro a formare quella che potremmo chiamare, con un termine moderno, la Giunta Comunale. Adempiuti questi atti prioritari, i 36 consiglieri passavano poi ad eleggere una serie di persone che si sarebbero occupate di alcuni problemi più specifici. Così veniva eletto il "Caneparo", addetto alla riscossione delle tasse, i "saltari" (addetti alla custodia delle case), i "campari" (addetti alla custodia dei campi) ed i "boscari" (che dovevano occuparsi della custodia dei boschi). Poi venivano dati gli appalti per alcuni pubblici servizi. Così c'era ad esempio, "l'incantatore della brenta", colui cioè che prendeva in appalto i dazi comunali e che doveva avere tutti gli strumenti bollati di misura, per controllare e far pagare il giusto dazio, su "tutt'il vino qual si condurà fori del Comune di Tirano". In seguito erano date jn appalto le panetterie, le osterie e le "beccarie" (macellerie). Le osterie non potevano essere più di due ma, al tempo della fiera di S. Michele, era concesso di aprire altre osterie, salvo naturalmente il pagamento delle relative licenze di apertura.

La descrizione del Guler 

Lasciamo gli interessantissimi e curiosissimi Statuti di Tirano, per passare alla bella descrizione che di Tirano fa un grande conoscitore della Valtellina di quegli anni: Giovanni Guler Von Weineck. Governatore della Valtellina nel Biennio 1587-88, il Guler pubblica in tedesco, nel 1616, una dettagliata descrizione della nostra valle. Riportiamo alcune delle sue osservazioni nella bella traduzione che ne fece lo storico valtellinese Renato Orsini. 

"La Valtellina (si devono escludere la contea di Chiavenna e le terre di Bormio) viene comunemente divisa in tre parti, che gli abitanti nella loro lingua chiamano terzieri. Tirano è il borgo principale del terziere che, dalla sua posizione, viene detto superiore ... Ciascun terziere, o squadra, ha dei consoli di giustizia che amministrano le cause non capitali ed altri affari; possiede inoltre il suo particolare consiglio, al quale intervengono i capi dei comuni dipendenti e talvolta anche altri. Tali capi in certi luoghi si chiamano consoli ed in altri decani (come abbiamo visto a Tirano c'era il decano). A queste assemblee del terziere ed al consiglio generale di valle, che viene convocato dal Cancelliere della Valtellina in Sondrio, si sottopongono gli ordinamenti e gli affari della valle e dei vari comuni, perché vengano decisi. La giustizia viene resa da funzionari inviati dalle Tre Leghe, i quali presiedono anche ai malefizi ed alle cause penali: però in appello giudicano le Tre Leghe Sovrane... Mezz'ora al di sotto di Sernio, sorge sull'Adda, Tirano, capoluogo di questo terziere. Fra Tirano e Sernio vi è il villaggio di Cologna, che dipende da Tirano, insieme con la frazione detta Sul Dosso, situata a valle di Tirano, andando verso Stazzona, ma sul monte. Al di là dell'Adda, il comune di Tirano comprende il villaggio di Borafino (Baruffini) posto al disopra di una costiera vitifera e la frazione di Sunasna; nella pianura poi comprende le frazioni di Vesoi, Piatti e la Madonna, la quale è vicinissima al fiume che uscendo dalla valle di Poschiavo, si getta nell'Adda. Ivi fu costruito in onore della B. vergine un tempio bellissimo, di marmo e di pietre lavorate... Il fìume che passa vicino al Santuario della Madonna e ne' suoi dintorni, nasce a mezzanotte dal gruppo del Bernina; attraverso il quale si apre una via frequentata, che dalla Rezia e dai paesi tedeschi conduce in Valtellina, passando per Poschiavo e per Brusio; questa via rimane però a lungo interrotta dalle nevicate e dalle valanghe. "

La Valtellina all'inizio del '600 

I rapporti tra i Valtellinesi ed i Grigioni non furono mai particolarmente felici. Non è facile stabilire quali furono i motivi di queste ostilità, anche se si può ritenere che una delle cause maggiori di attrito sia stata la religione. Da una parte i Valtellinesi, che erano guidati da un clero cattolico preoccupato solo della difesa dei propri privilegi e che, salvo rare eccezioni, non vedeva certo molto più in là del proprio naso, dall'altra una classe dominante spesso di non grandi vedute ed interessata ad ottenere nell'immediato il massimo possibile, priva di progettualità e di futuro. Ma in genere, e questo è un merito quasi mai riconosciuto dagli storici locali, la classe dominante grigiona era tollerante o comunque meno intollerante della controparte cattolica. Ma non vogliamo addentrarci in una discussione troppo complessa. La situazione tra la stragrande maggioranza della popolazione (cattolica) e la piccola comunità protestante era arrivata, all'inizio del '600, ad un punto di non ritorno. In quegli anni erano abbastanza comuni le dispute religiose, nelle quali prendevano la parola i migliori ministri delle due comunità. Celebre fu la disputa teologica che vide fronteggiarsi a Tirano, da parte cattolica l'arciprete di Tirano Simone Cabasso e quello di Sondrio Nicolò Rusca e da parte protestante due celebri pastori, Scipione Calandrino ed il tiranese Antonio Andreossa. Ma come spesso succede, queste dispute religiose, non solo non servirono a riappacificare gli animi, ma lasciarono ciascuno ben aggrappato alla sua posizione. Il 14 luglio 1618 poi, avvenne a Sondrio un fatto molto grave: venne infatti arrestato l'arciprete Nicolò Rusca che, attraverso la Valmalenco ed il passo del Muretto, venne portato a Thusis dove fu torturato, processato e dove, in seguito alle torture subite, morì il 4 settembre. Anche il Sinodo protestante convocato a Tirano nel 1619 (ai sacerdoti valtellinesi era proibito partecipare a quello cattolico di Como) fu visto come una provocazione. In questo periodo ogni piccolo attrito sfociava quasi sempre in sanguinose risse tra una comunità e l'altra e sembrava non esserci nessuno in grado di controllare questa situazione. Se a questo aggiungiamo il desiderio della piccola nobiltà locale di non perdere gli antichi privilegi facendosi soppiantare da una sempre più numerosa ed agguerrita nobiltà di origine grigione, ben si riesce a capire il perché della "rivoluzione" del 1620.

Il Sacro Macello 

Con questa infelice denominazione è conosciuta la rivolta dei Valtellinesi che iniziò a Tirano il 19 luglio 1620. Preparato un piano di insurrezione sotto la guida di Giacomo Robustelli, alla stesura del quale partecipò anche G. Battista Marinoni (futuro parroco di Tirano) e che vide coinvolte anche alcune potenze europee, la notte del 18 luglio 1620 più di 100 uomini armati entrarono in Tirano attraverso la porta Poschiavina. Il gruppo più numeroso si dispose attorno alla casa del Pretorio mentre gli altri si nascosero nei pressi della chiesa di S. Martino. Non appena spuntò il giorno, fu dato il segnale dell'insurrezione e la rivolta divampò in pochissimo tempo ovunque. Come primo atto, venne ucciso il commissario grigione, il pretore di Teglio e alcuni altri nobili grigioni che per loro sfortuna si trovavano a Tirano, invitati ad una festa che si era tenuta la sera precedente nella casa del podestà di Tirano, che festeggiava la nascita di una figlia. I morti furono numerosi, anche perché, come spesso capita in questi casi, la "rivoluzione" fu vissuta da molti solo come pretesto per vendette personali, ruberie e saccheggi. Sta di fatto che la rivolta, partita da Tirano, si sviluppò molto velocemente in tutta la Valtellina e la Valchiavenna ed i Grigioni che non furono uccisi, furono costretti ad abbandonare tutto ed a scappare velocemente al di là delle Alpi. Poche settimane dopo, alcune truppe grigioni tentarono di riconquistare la Valtellina scendendo da Bormio, ma furono sconfitte in una battaglia che si svolse alle porte di Tirano, nella zona dell'attuale "Campone". Ricordiamo come curiosità un fatto riportato dai cronisti del tempo (e anche da qualche storico moderno); e cioè l'intervento decisivo nella battaglia della statua di S. Michele, posta in cima al Santuario, che avrebbe con la sua spada fiammeggiante costretto i Grigioni alla fuga. Fosse per l'intervento di questo arcangelo o per altro, sta di fatto che i Grigioni abbandonarono la Valtellina. Seguirono anni tristissimi. Invasioni e carestie, contesero il campo alla peste che, quando se ne andò da queste valli, lasciò la popolazione ridotta ad un quarto. Si può stimare che gli abitanti di Tirano e dintorni, si ridussero probabilmente a poco più di 1000 persone. Non vogliamo addentrarci ulteriormente nella intricata situazione politica del periodo e ricordiamo soltanto che, nel 1639, con il Capitolato di Milano, la Valtellina ritornò sotto i Grigioni. 

La nuova dominazione Grigiona 

La situazione lentamente ritornò alla normalità, vuoi per una maggior tolleranza dei valtellinesi, vuoi per una maggior avvedutezza del governanti grigioni, che cercarono in tutti i modi di non creare più attriti, almeno da un punto di vista religioso. Alla figura di quel focoso sacerdote che abbiamo visto partecipare all'insurrezione valtellinese del 1620, è legato un altro fatto importante che interessa Tirano. Dopo essere stato per qualche anno prevosto di Tirano, G. Battista Marinoni lasciò per testamento, alla sua morte avvenuta nel 1656, 10000 ducatoni di Milano affinchè fossero mantenuti quattro maestri per insegnare "tanto ai poveri che ai ricchi, tanto ai nobili che agli ignobili, la grammatica, la retorica e le umane lettere". Che molti cambiamenti fossero avvenuti con il ritorno dei Grigioni lo testimonia questo interessantissimo proclama del 1738, fatto dal podestà (protestante) grigione di Tirano. "Vedendo che nonostante le gride fatte, si vadi giornalmente strappazzando li giorni festivi con veri bagordi, frequentando hosterìe e bettole, in dispreggio grande dei divini precetti et nostri comandi, ordiniamo a qualunque hostiere, betogliere e qualunque altra persona che, sotto pena di scudi 200 d'oro, non ardiscano nelli giorni festivi nel tempo che si toneranno li offici divini, tanto alla mattina che alla sera, tenere aperte le rispettive hosterie et bettole ne vender vino ne altra sorte di mangiativa". Per restare ancora al 700 ricordiamo che il centro storico di Tirano, le cui case sono per lo più cinquecentesche, vive un nuovo periodo di intenso sviluppo, che si accompagna anche ad una diffusa presenza di religiosi. Nel 1766, si registra a Tirano la presenza di ben 36 sacerdoti dei quali 1 residente a Roncaiola, 9 alla Madonna e ben 26 alla chiesa di S. Martino. Un vero e proprio boom mai più raggiunto in seguito. Il governo dei Grigioni sulla Valtellina è sempre stato visto come un periodo di oppressione e di dispotica coercizione. La realtà è invece probabilmente molto più complessa ed un giudizio meno affrettato, come quello che sembra emergere in questi ultimi anni, sta finalmente chiarendo e per molti aspetti rivalutando questo lungo periodo storico.

La stregoneria 

Prima di passare ad esaminare altri avvenimenti, vogliamo fare almeno un breve accenno al problema della stregoneria. Afflitta da guai di ogni tipo, la Valtellina dovette anche confrontarsi con questa tristissima faccenda. E per molti secoli, purtroppo. Ci si cominciò ad occupare delle streghe valtellinesi fin dal 1277, quando venne approntato in Morbegno, il primo Tribunale dell'Inquisizione, organizzato e diretto da frate Pagano da Lecco. All'inizio l'attività di questo Tribunale (per quel che si sa), fu piuttosto modesta. A partire però dal 1350, forse anche per la presenza di più solerti inquisitori, il tribunale comincia a lavorare con nuovi ritmi, rintracciando streghe e stregoni un po' ovunque in tutta la Valtellina. Il fenomeno è sicuramente complicato, ma si può dire che, in molti casi, quello di combattere la stregoneria era anche un modo per risolvere problemi di ordine pubblico oppure tensioni che si erano andate accumulando in una comunità. La gente era sicura della loro presenza, dei loro misfatti e dei loro malefici e vedeva le streghe e gli stregoni dentro i paesi, nelle case dei vicini, sui monti o nei luoghi più fantastici. E chiedeva a gran voce l'intervento della giustizia e la punizione dei colpevoli. La paura, dalla quale nascevano contemporaneamente, streghe, leggende, diavoli ed ogni sorta (per noi, ora) di incredibili situazioni al limite spesso dell'allucinazione collettiva, erano il più delle volte tenute sotto controllo dall'individuazione di un capro espiatorio: dall'arresto, dal processo, dalla tortura e spesso dalla morte pubblica di una strega. Questo successe molto spesso in Valtellina e nella vicina valle di Poschiavo. Ce lo testimoniano gli oltre cento incartamenti dei processi che si svolsero a Poschiavo contro le streghe. E ce lo racconta anche la decapitazione di un povero stregone, Romerio Romeggione, avvenuta in Tirano nel marzo del 1703, a più di quattrocento anni dall'insediamento dell'Inquisizione in Valtellina.

 L'albero della Libertà 

Sul finire del '700, strettamente legati ai grandi sconvolgimenti politici creati dalla Rivoluzione Francese, anche la Valtellina è percorsa da un'ondata rivoluzionaria. Come è successo anche per il passato, è spesso il clero locale che si pone a capo di questo movimento rivoluzionario, in una confusa aspirazione di nuove libertà e di ritorno al passato, quasi mai facilmente distinguibili. Comunque stiano le cose, anche a Tirano, finalmente arriva la tanto sospirata rivoluzione. In un diario di quegli anni, tenuto da un abitante di Tirano, possiamo seguire le prime fasi di questa rivoluzione, che arrivò in paese il 15 giugno 1797. "Giorno fatale quello che i vari così detti zelanti della patria, cioè il signor Antonio Merizzi Clemente, il signor Domenico Fola e i sigg. Francesco e Giuseppe Nazzari come capi e molti altri seguaci fecero la rivoluzione in paese che portò la ruina nel medesimo Borgo e che andavano millantando che la rivoluzione era necessaria per sotrarsi al Governo grigione che in allora comandava nella provincia della Valtellina e per godere la libertà e la eguaglianza che tutti dovevano essere istessi e che non vi era più Signorie che tutto il popolo era uguale a comandare e il signor Antonio Merizzi con queste lusinghe aveva tirato una buona parte del popolo al suo parere e ... subito dopo mezzogiorno cominciarono questi ad armarsi e a portarsi in Piazza e ivi si ritrovò un mio cugino a nome pure Giacomo De Campo e il signor Antonio Merizzi Clemente, disse sei qui o traditore della Patria e senza che questo abbia potuto dir parola con colpi di sciabola fu diviso il capo in tre parti e poi fu trovato suo padre e suo fratello e furono da questa società messi in prigione...". Qualche giorno dopo, il 23 giugno, anche a Tirano, come in moltissimi altri luoghi della Valtellina "fu inalzato l'albero della libertà in Piazza ove fu concorso tutto il Clero e fu fatto un sermone dal Capucino Padre Nicola ed il paroco di Tirano Gaetano Merizzi ha cantato l'eviva della Libertà e bacciò la Bereta Rossa, che fu poi messa in cima all'albero intervenuti anche tutti li signori del Borgo con moltitudine di popolo cantando l'eviva...". Poi si diressero tutti alla chiesa di S. Martino, prelevarono il banco dove solitamente stavano le autorità grigioni, lo portarono in piazza, lo fecero a pezzi e lo bruciarono. Il momento di massima euforia rivoluzionaria venne raggiunto il 10 ottobre 1797 quando, con l'editto di Passariano, Napoleone decretò l'unione della Valtellina alla Repubblica Cisalpina. Poi però le cose cambiarono ed alcuni atti compiuti dai Francesi crearono profonda tensione nella comunità tiranese. Il 13 aprile 1798 arrivò l'ordine, dal Dipartimento dell'Adda e dell'Oglio (era la nuova unità amministrativa voluta dai Francesi), di preparare l'inventario dei beni del Santuario della Madonna. L'ordine venne eseguito con precisione, ma anche con la consapevolezza purtroppo che sul Santuario si stavano addensando minacciose nubi di tempesta. Infatti, il 18 dicembre di quello stesso anno, argenti, ori, oggetti sacri e paramenti preziosi presero la via di Milano. Anche l'altare della Madonna, ricoperto di lamine d'argento, venne spogliato, con Ia delicatezza che ci si può attendere in questi casi e rovinato irrimediabilmente. Due carri di oggetti preziosi, dono dei fedeli e accumulati dal Santuario nel corso di quasi tre secoli, sparirono e di loro si perse ogni traccia. Fino a quel momento il Santuario della Madonna di Tirano, anche in mezzo alle guerre più devastanti ed agli eserciti più "scalmanati" era stato sempre rispettato. Questo grave fatto, unito alle alterne fortune militari di Napoleone, diede un grave scossone alla credibilità dei nuovi padroni, che pure avevano dimostrato, anche attraverso la creazione di un apparato amministrativo più solido di quello grigione,di voler contribuire seriamente a migliorare le sorti della Valtellina. Cito ad esempio tra gli atti compiuti, la costruzione della prima strada valtellinese degna di questo nome, la Colico-Sondrio, negli anni 1804-1809.

 La frana di Sernio 

L'autunno del 1807 fu una stagione molto piovosa per la Valtellina; temporali ed acquazzoni violentissimi si abbatterono in modo particolare nella zona di Tirano e del monte Masuccio (la montagna che sta a nord dell'abitato). Successe allora quello che purtroppo si era temuto per molto tempo; una enorme frana scese a valle dal monte Masuccio partendo poco lontano dall'abitato di Baruffini ed andò a sbarrare il corso del fiume Adda, poco prima della sua confluenza con il torrente Valchiosa. Tutto avvenne la notte dell'8 dicembre 1807 ed il terribile boato che la frana provocò, fu udito nei paesi di Sernio, di Lovero, ma anche di Tirano. Grande naturalmente fu lo spavento della popolazione, che accorse in massa sul luogo della caduta. Fino all'alba però, i contorni dell'avvenimento rimasero poco comprensibili poi, alla luce del giorno, il disastro assunse connotazioni più precise. Erano andati distrutti quasi completamente i vigneti situati sui fianchi del monte Masuccio in comune di Sernio e furono sepolti completamente quattro torchi e cinque mulini. Ma la cosa più grave fu la morte di un'intera famiglia sepolta con la propria casa dalla frana. Alla disperazione degli abitanti di Sernio che avevano perso i loro beni, si aggiunse presto la preoccupazione degli abitanti di Lovero per i quali lo sbarramento dell'Adda rappresentava una vera e propria trappola. Infatti si capì subito che l'acqua dell'invaso che si stava formando, sarebbe stata in grado di allagare tutto il paese e seppellire ogni cosa. La frana che si era staccata 600 metri più in alto, aveva creato una barriera alta 43 metri. L'Adda impiegò 11 giorni per riempire questo bacino ed il giorno 18, superato il bordo superiore dello sbarramento, riprese a defluire nel vecchio alveo. Restava un lago lungo 2580 m, largo 830 m e con una superficie di 1522 pertiche valtellinesi. L'invaso ebbe conseguenze gravissime per tutta la zona.La chiesa di S. Agostino di Lovero era in gran parte sommersa, così pure buona parte delle case e tutti i prati. Nonostante le promesse di intervento immediato, il 14 maggio 1808, la situazione non era migliorata anzi, lo sciogliersi delle nevi, aveva aumentato la portata dell'Adda e quindi il pericolo che lo sbarramento di terra e sassi si sbriciolasse. Alle 5 del mattino di lunedì 16 maggio, la parte alta dello sbarramento cedette e le acque limacciose si riversarono dentro il vecchio letto giù verso Tirano. Per fortuna il crollo interessò solo i 12 metri sommitali e non tutta la diga, comunque, il mare di fango e di acqua che scese verso il basso, travolse tutto ciò che incontrò sul suo cammino. Spazzò via i terreni coltivati e le vigne che fiancheggiavano il corso dell'Adda e, aiutato in questo anche dalla pendenza, in quel tratto molto accentuata, fece a pezzi il ponte di Tirano, sul quale passava la strada principale della valle. Alcune case che si trovavano all'interno degli argini vennero travolte. Gli stessi argini, aperti in più punti in quegli anni, per poter meglio accedere al fiume per attingere acqua, furono in parte divelti e il fiume allagò e danneggiò molte abitazioni. Allagamenti molto vasti subirono anche le campagne intorno a Tirano perché l'impeto delle acque distrusse buona parte dell'argine che faceva compiere al fiume una decisa curva verso il torrente Poschiavino. Pur avendo mitigato la loro violenza le acque dell'Adda in piena riuscirono ad allagare i campi di molti comuni, da Bianzone giù fino a S. Pietro Berbenno. Dopo le prime opere urgenti per la chiusura delle falle prodotte negli argini (si usarono gabbioni riempiti di sassi e fascine), fu costruito in Tirano un ponte provvisorio in legno lungo 35 metri. L'opera di ricostruzione vera e propria si presentò però molto più ardua, sia per l'impossibilità di mettere d'accordo i danneggiati (oltre 2500), sia per la cronica mancanza di fondi. I segni lasciati dalla frana furono visibili per molti decenni così come i segni delle distruzioni ed i depositi di ghiaia lasciati dal lago nel piano di Lovero. 

Gli Austriaci 

Quando i Francesi se ne andarono da Milano nel 1814, la Valtellina fu percorsa da una grande confusione: da una parte c'erano coloro che avrebbero voluto ritornare sotto i Grigioni che, alla luce degli ultimi avvenimenti valeva forse la pena di rimpiangere; dall'altra c'era un buon gruppo di persone che volevano invece l'unione con la Lombardia. E' interessante notare come in questo secondo gruppo fossero rappresentati soprattutto coloro che avevano acquisito i beni dei Grigioni confiscati nel 1797. Con i risultati del Congresso di Vienna nel 1815, la Valtellina venne annessa alla Lombardia ed entrò a far parte del Regno Lombardo-Veneto. Gli effetti della presenza austriaca in Valtellina e Valchiavenna furono chiaramente visibili di lì a poco tempo. La rigorosa e ben funzionante macchina amministrativa austriaca, specie se messa a paragone con la poco efficiente amministrazione precedente, diede un grandissimo contributo allo sviluppo delle comunità valtellinesi. La bontà di un organizzato ed efficiente sistema burocratico si vide subito, ad esempio, nel modo del tutto nuovo con il quale venne affrontato il problema della viabilità. Tra il 1818 ed il 1824 vennero costruite ed inaugurate la strada dello Spluga e quella dello Stelvio, due opere che ancora oggi suscitano l'ammirazione e lo stupore di chi le percorre. Anche la viabilità di fondovalle venne ulteriormente potenziata con la costruzione, tra il 1815 ed il 1818 della "Strada Regia", che sarà l'asse portante della viabilità valtellinese fino ai giorni nostri. Queste opere furono eseguite sotto la direziono di quell'ingegnere del tutto eccezionale che fu Carlo Donegani. A lui si devono anche alcune altre importantissime opere legate al fiume Adda. Fino a quel tempo il fiume era più o meno libero di scorrere un po' dove voleva, invadendo ad ogni piena le campagne circostanti. Con gli imponenti interventi austriaci invece, il fiume fu costretto a scorrere dentro rive più diritte e più sicure. Quest'opera di rettilineamento dell'Adda interessò il Piano di Spagna (con il nuovo ingresso del fiume direttamente nel lago di Como), il piano della Selvetta ed infine Tirano.Infatti l'Adda che usciva da Tirano ed andava verso Villa passando accanto all'attuale ferrovia, fu costretta dentro un percorso rettilineo che, dando più pendenza al fiume, ne impediva, o per lo meno ostacolava, le esondazioni durante i periodi di piena. A testimoniare il vecchio corso dell'Adda rimane, nei pressi della stazione di Villa di Tirano, un vecchio ponte medioevale (che qualcuno un po' fantasticando, vorrebbe romano).

Nel 1838 transitò per Tirano l'imperatore Ferdinando d'Austria, che si recava a Milano per essere incoronato re del Regno Lombardo-Veneto. In onore di quell'ospite un po' speciale fu deciso di costruire una bella fontana (nell'attuale piazza Cavour). Tirano, che fino a quegli anni si era per lo più mantenuta all'interno delle mura sforzesche, con l'arrivo della Strada Regia austriaca, iniziò una lenta ma costante espansione, lungo l'asse che la collegava con il Santuario. 

Il Regno d'Italia 

Il 6 giugno 1859 i Consiglieri Comunali di Tirano votavano un documento con il quale veniva dichiarata l'annessione al nuovo stato nazionale. Così scrivevano: "Le Vittoriose Armate di Sua Maestà Vittorio Emmanuele, Re di Sardegna, Primo Soldato dell'Indipenza Italiana, sono entrate nel suolo lombardo e le popolazioni anche di questa Vallata hanno dato le più evidenti prove di anelare all'Indipendenza Nazionale e di brandire le armi per la cacciata dello straniero dopo tanti anni del più duro servaggio. Il Municipio di Tirano aderendo ai voti e ai desideri di una popolazione che,  oppressa da una straniera occupazione militare, fu però sempre Italiana di nome e di fatto, interprete fedele dei sentimenti di quella, dichiara la sua unione agli Stati di Sua Maestà, il magnanimo Re di Sardegna Vittorio Emmanuele, pronti a sottostare a tutti i sacrifici richiesti per l'acquisto dell'Indipendenza Nazionale". Il 30 giugno Giuseppe Garibaldi entrava in Tirano accolto trionfalmente dalla popolazione. Con la proclamazione del Regno d'Italia, nel marzo del 1861, inizia per Tirano un periodo di più intenso sviluppo. Governatore della neonata provincia di Sondrio, fu nominato il tiranese conte Luigi Torelli, che assumerà in seguito anche incarichi di governo di maggior responsabilità. Un fatto di grande interesse per Tirano fu, nella seconda metà dell'Ottocento (ma anche poi nel Novecento), l'emigrazione. E' un fenomeno complesso, sia nelle sue motivazioni che poi nel suo attuarsi, con correnti di emigrati soprattutto verso le Americhe e l'Australia, che deve essere ancora adeguatamente approfondito. Accanto a questa emigrazione "lontana", molte volte senza ritorno, è sempre esistita una "piccola" emigrazione nella vicina Svizzera ed un discreto movimento di frontalieri. Anche questo ha contribuito allo sviluppo economico di Tirano (ma lo stesso discorso si potrebbe ripetere per quasi tutti i comuni valtellinesi). 

Il Novecento 

II Novecento si apre con due fatti molto importanti per la vita di Tirano. Arriva infatti la ferrovia: nel 1902 quella da Sondrio, nel 1909 quella da St. Moritz.Questo fatto determina l'uscita di Tirano dall'isolamento ed il suo inserimento nel più vasto circuito ferroviario europeo. E' anche interessante notare che la costruzione della stazione ferroviaria determina la nascita di un nuovo polo di sviluppo urbanistico della città. Ci fu però anche un risvolto negativo nell'arrivo del treno (negli stessi anni cominciarono a circolare le prime automobili). Infatti dovettero essere lentamente ma inesorabilmente smantellate tutte le diligenze e le carrozze che avevano fatto di Tirano un centro molto importante per i trasporti con i cavalli. Ma ci si attrezzò subito e già nel 1905, partendo da Tirano, si poteva raggiungere Bormio (in poco più di due ore), su una grossa automobile, una specie di carrozza che portava nove passeggeri. Poi Tirano fu chiamata con i suoi alpini a combattere durante la Prima Guerra Mondiale, spesso sulle montagne dell'AIta Valtellina, una guerra lunga e sanguinosa, che lasciò molti lutti. Dopo la parentesi fascista e la successiva catastrofe della Seconda Guerra Mondiale, anche Tirano, come altri centri della Valtellina, ebbe uno sviluppo vivace e un po' caotico. Questa vivacità fu determinata anche dalla presenza diffusa del contrabbando che, pur essendo una così detta attività sommersa, risultò una grande molla economica. Si pensa che, direttamente od indirettamente, in questa attività (che non fu quasi mai vissuta come illecita o disonesta) era coinvolto almeno un terzo della popolazione di Tirano. A parte i soliti balordi, i soldi guadagnati con il contrabbando vennero quasi sempre investiti in loco, per la costruzione della casa di abitazione o per l'avvio di un'attività commerciale. Questo diffuso boom edilizio fece sì che in quegli anni si giunse praticamente alla saldatura tra il tessuto urbano del centro e quello di Madonna, lungo l'asse viario che li lega. Occorre anche dire però che non sempre lo sviluppo urbanistico di quegli anni (ma anche di questi più recenti) è stato rispettoso del passato e delle tracce importanti che questo aveva lasciato. Forse il futuro, nelle mani di uomini un po' più riflessivi e forse anche un po' più saggi, non solo riuscirà a dare nuova vita al bellissimo centro storico che Tirano possiede, ma saprà coniugare una giusta esigenza di sviluppo voluta dai suoi abitanti, con un più attento utilizzo del territorio.

 

(tratto da: "Tirano e il suo Santuario" di Antonio Boscacci - 1993)

 

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Ultimo aggiornamento: 7 gennaio 2015

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